Per il centenario di Caporetto sono usciti libri a decine. Sul Piave e sul Grappa neanche uno. La sconfitta ci ispira. Ci raccontiamo di aver perso anche le poche guerre che abbiamo vinto. Oppure ci rifugiamo nella retorica, come il mito della «Razza Piave», caro al secessionismo veneto; ma sul Piave accanto ai veneti morirono lombardi e lucani, napoletani e genovesi.
Certo, la guerra del '15-18 è stata un'immane carneficina. Era meglio non farla. L'Italia avrebbe dovuto restarne fuori. Invece fu decisa con un colpo di Stato che esautorò il Parlamento, e fu condotta in modo sbagliato quando non criminale. Il tradimento delle classi dirigenti però non toglie nulla al sacrificio dei nostri nonni. Anzi, lo rende se possibile ancora più valoroso.
Della Grande Guerra ci resta il Piave. Con il 1918, dopo Caporetto, il conflitto cambia segno. Si tratta di difendere la patria, di badare alla terra, di proteggere la famiglia, di evitare che pure alle altre donne italiane venga fatto quello che stavano subendo le friulane e le venete al di là del fiume. Fu allora che i nostri nonni, fanti contadini, salvarono il Paese, e con il Paese noi, loro discendenti.
L'Italia nacque allora. Nelle trincee. Sul Grappa e sul Piave. Eravamo un popolo giovane. Non ci capivamo neppure tra di noi: ognuno parlava il suo dialetto. Potevamo essere spazzati via; dimostrammo di essere un popolo, una nazione. Questo sì lo possiamo festeggiare, lo dobbiamo celebrare, abbiamo il dovere di ricordare. Perciò il 4 novembre 2018, centesimo anniversario della vittoria dei nostri nonni, dovrebbe tornare a essere festa nazionale. Un po' come il 17 marzo 2011, centocinquantesimo anniversario dell'unificazione, che fu molto sentito: segno che noi italiani siamo più legati all'Italia di quanto pensiamo, soprattutto quando la storia nazionale incrocia la storia delle nostre famiglie.
Lo prova anche il successo di questo libro, che dopo aver venduto oltre 200 mila copie torna in edizione illustrata, impreziosita da un ricco inserto di fotografie rare e in parte inedite e da una nuova introduzione. Metà dei capitoli sono dedicati a storie di donne; perché l'Italia non avrebbe mai vinto la Grande Guerra senza le italiane, che mandarono avanti le fabbriche e le città, dimostrando di saper fare le stesse cose degli uomini, magari meglio.