Vent'anni dopo la fine della guerra, Horst Krüger - scrittore, giornalista, tra i più lucidi interpreti delle trasformazioni della società tedesca - torna a Eichkamp, il piccolo, insignificante quartiere alla periferia di Berlino dov'è cresciuto con i genitori e la sorella. Qui, ricorda Krüger, viveva gente compassata, timorata; gente come suo padre e sua madre che mai si erano interessati alla politica, un agglomerato di buona piccola borghesia lavoratrice che si ritrovò, quasi inconsapevolmente, a far parte del partito: "Poi arrivò il responsabile d'isolato, si fece consegnare i due marchi e cinquanta e noi ricevemmo un distintivo". E con tragica inevitabilità, un mondo tranquillo e coscienzioso fatto di persone rispettabili e oneste crollò, intossicato dalla propaganda. Cosa abbia voluto dire diventare adulti in quegli anni, mentre tutto prendeva forma senza che si riuscisse a intravedere il precipizio verso cui si correva, è ciò che Krüger offre al lettore contemporaneo.
Uscito per la prima volta in Germania nel 1966, ripubblicato dall'editore tedesco nel 2019 per i cent'anni dalla nascita dell'autore, La casa rotta è un resoconto impressionante, mai autoindulgente, una disanima asciutta del sentimento della colpa di un'intera nazione.
Un racconto di terrifica bellezza puntellato da una scrittura limpida e poetica, che non sbaglieremmo a definire resistente.